I segni della memoria



La citta', un infinito foglio bianco su cui scrivere, incidere, graffiare, disegnare, ricordare……

La prima impressione che percepisco quando cammino e guardo i segni lasciati sui muri della citta', e' un profondo senso di disagio, immediatamente sopraffatto da uno stato di indifferenza per la totale omogeneita' ed omologazione di intenti che essi rappresentano. Sono tanti, sono troppi, sono dappertutto, sono tutti uguali. Li ritengo anche in parte responsabili della perdita di empatia non solo nei confronti del singolo, ma soprattutto nei confronti del paesaggio urbano; tuttavia poche forme espressive hanno suscitato un interesse cosi' straordinario non solo tra le giovani generazioni, ma anche tra gli esperti, i cosiddetti creativi affrancati e i grandi comunicatori di immagini.

Come scrive il "NewYork Times", "i graffiti sono usciti dagli angoli bui delle viscere della metropolitana per esplodere in uno stile globale di immagini virtuali, circolate su internet e divenute di enorme influenza per il mondo del design, della moda e della grafica".

Alan Ket, un nome per tutti, super star del movimento noto come "graffiti out" negli anni 80, e' invitato e conteso da Musei e Gallerie, Universita' come Princeton e Harvard lo invitano a parlare nelle loro sedi. Le multinazionali Atari, Moet e Chandon e MTv, come ci segnala Alessandra Farkas su "Il Corriere della sera" lo ingaggiano come consulente. Sarebbe quindi interessantissimo iperanalizzare il segno di Basquiat, il tratto convulsivo e ripetitivo di Hearing, divenuti entrambi talmente famosi da essere icone di riferimento per importanti musei e Gallerie d'arte di tutto il mondo.

I graffiti metropolitani sono quindi ormai la scenografica costante dei nostri spostamenti urbani non solo all'interno della citta'. Per quanto mi riguarda, alcuni di essi li trovo bellissimi come quelli dipinti lungo un tratto del fiume Moldava a Praga. Altri li trovo devastanti ed accecanti. Si', accecanti. Non voglio perdere la capacita' di guardare e di vedere e, nell'oceano di immagini reali, ma anche virtuali, volgo lo sguardo su altri segni, superstiti, soffocati da quei tratti aggressivi lasciati dalle bomboletta spry e quasi non più percettibili al nostro sguardo.

Cerco di percorrere a ritroso attraverso la ricerca che da tempo ho trasferito sui miei quadri, il tema che per quanto mi riguarda ha sempre privilegiato il rapporto tra testo e immagine, l'equilibrio estetico tra senso e non senso e che ha caratterizzato il percorso pittorico di questi miei anni di lavoro.

E' vero, i segni sui muri delle citta' esercitano su di me un fascino straordinario, anche quelli naturali, scaturiti dal caso, spesso dalla violenza inconsapevole dell'uomo, segni quindi naturali che mescolano i colori della calce alterata dal tempo, dalla luce dal susseguirsi delle stagioni e creano nell'intonaco scrostato dei piccoli capolavori informali o neofigurativi, dei bellissimi Ta'pies, Fautrier, Kandiski. I dipinti di Twambly ricordano i graffiti di un tempo, ci ricorda Angela Vettese in un bell'articolo su "Il sole 24 ore", "quelli senza ne' stile, ne' moda fatti di urgenza e di un contatto semplice con il muro". "Sono scarabocchi inventati nell'attesa del sogno".

Ho fotografato tanti di questi muri nel corso degli anni durante il mio nomadismo mentale, in tante citta', in Italia, in Europa e negli Stati Uniti, ho un ricordo indelebile nella memoria di quasi tutte queste immagini, cosi' accidentali, inattese, dominate sempre dall'assenza. Immagini seduttive ed ingannevoli sembrano dirci tanto e nello stesso tempo nasconderci tutto. Attingo quindi da queste immagini visive e mentali, momenti nei quali la mia mente e' in folle e i segni sulla superficie del quadro sono linee infantili e sogni lontani.

"L'arte contemporanea e' un'arte accecata. Non solo ha perso il contatto con il reale, ma soprattutto ha smarrito la capacita' di vedere", ci ricorda Paul Virilio nel suo breve saggio polemico " L'arte dell'accecamento". "Di fronte all'arte contemporanea, l'osservatore si trova nella stessa condizione di chi entra in una cattedrale di notte, sperando di ammirare le vetrate"